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Tettoia abusiva: cosa succede dopo 40 anni e chi deve demolirla?

Tettoia abusiva: il CdS si esprime su un ordine di demolizione disposto dopo 40 anni dall’abuso realizzato da altro proprietario  A seguito di un controllo un’Amministrazione comunale aveva ordinato la demolizione di una tettoia realizzata sul lastrico solare di proprietà esclusiva di un condòmino.

Data:
14 Luglio 2017

Tettoia abusiva: il CdS si esprime su un ordine di demolizione disposto dopo 40 anni dall’abuso realizzato da altro proprietario

 A seguito di un controllo un’Amministrazione comunale aveva ordinato la demolizione di una tettoia realizzata sul lastrico solare di proprietà esclusiva di un condòmino.

L’opera, esistente “in loco” da circa 40 anni, presentava le seguenti caratteristiche:

  • struttura metallica
  • superficie di circa 40 m²
  • paletti di legno infissi su vasi
  • copertura di plastica
  • chiusura con cannicciato sul lato verso monte

Dopo la costruzione della tettoia, l’immobile veniva venduto ad un nuovo proprietario. Questi, a seguito dell’ordinanza di demolizione, presentava ricorso al Tar della Liguria, che però respingeva il ricorso.

In particolare, la sentenza di primo grado aveva rilevato che la realizzazione di una tettoia, anche se in aderenza ad un muro preesistente, non poteva essere considerata un intervento di manutenzione straordinaria, cosicché la sua costruzione necessitava del previo rilascio di permesso di costruire.

Il proprietario della tettoia impugnava la sentenza, presentando ricorso al Consiglio di Stato.

Tettoia abusiva: la sentenza del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3210/2017 si esprime sul ricorso presentato dal condòmino.

Il ricorrente ritiene che la struttura in questione debba essere considerata come precaria, totalmente aperta e, dunque, deduce l’erroneità della decisione nella parte in cui il Tar ha ritenuto che la struttura realizzata necessitasse di un permesso di costruire; inoltre, le reali caratteristiche della struttura fanno sì che la stessa sia qualificabile come arredo per spazi esterni e non come opera di trasformazione edilizia.

Da tali caratteristiche emergerebbe la natura rimovibile della struttura e l’assenza di una nuova volumetria.

I giudici di Palazzo Spada, però, ritengono che sia corretta la qualificazione della struttura fornita dal Tar, che considera l’opera non come elemento di arredo esterno ma come intervento riconducibile alla categoria di cui all’art 3, comma 1, lett e/5 del dpr 380/2001, ossia come manufatto rientrante tra le nuove costruzioni:

l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore

La struttura non può essere considerata precaria, non tanto per la tipologia dei materiali utilizzati o per l’amovibilità delle strutture, ma perché la stessa soddisfa esigenze di stabilità e temporaneità.

Il condòmino sostiene anche che l’installazione della tettoia, ossia la realizzazione dell’abuso, sia avvenuta 40 anni addietro e comunque prima del suo acquisto.

In tal senso i giudici chiariscono che l’importanza del trascorrere del tempo non è tale da far sorgere in capo al privato un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva o, perlomeno, a subordinare la legittimità dell’ingiunzione di demolizione a una motivazione rinforzata sull’interesse pubblico prevalente alla demolizione della struttura.

Inoltre evidenziano che l’art 31 del dpr n. 380/2001 individua quale soggetto passivo della demolizione colui il quale ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso. Tale potere compete indubbiamente al proprietario attuale dell’immobile, anche se non risulta responsabile in via diretta.

Pertanto il Consiglio di Stato respinge il ricorso presentato, ritenendo che l’opera in questione non sia precaria, ma necessita del rilascio di permesso di costruire e che il soggetto destinatario della misura repressiva sia il proprietario attuale dell’immobile.

Ultimo aggiornamento

14 Luglio 2017, 20:33