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Ristrutturazione edilizia: quando serve il permesso di costruire e quando basta la SCIA

Il Consiglio di Stato chiarisce per quali opere edilizie è necessario richiedere un titolo abilitativo o l’altro Le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, modifiche del volume, dei prospetti, o, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso.

Data:
5 Novembre 2018

Il Consiglio di Stato chiarisce per quali opere edilizie è necessario richiedere un titolo abilitativo o l’altro

Le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, modifiche del volume, dei prospetti, o, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso.

Lo ha affermato il Consiglio di Stato nella recente sentenza 5984-2018, che fa chiarezza su quali interventi di ristrutturazione edilizia richiedono il permesso di costruire e per quali opere basta la SCIA.

Ristrutturazione edilizia: cos’è

Costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia “quegli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possano portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente“.

Palazzo Spada aggiunge, inoltre, che “la ristrutturazione nelle forme dell’intervento conservativo o ricostruttivo si pone in continuità con tutti gli altri interventi edilizi cosiddetti minori (manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo), che hanno per finalità il recupero del patrimonio edilizio esistente“.

Permesso di costruire o SCIA?

In definitiva, “le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, modifiche del volume, dei prospetti, o, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso (ristrutturazione edilizia)“.

La SCIA può quindi bastare, in via residuale, per i restanti interventi di ristrutturazione “leggera” (compresi gli interventi di demolizione e ricostruzione che non rispettino la sagoma dell’edificio preesistente). Per gli immobili sottoposti a vincolo ex d.lgs. 42/2004, sono soggetti a SCIA solo gli interventi che non alterano la sagoma dell’edificio.

NB – l’art. 22, comma 3, del TUE prevede che per gli interventi di ristrutturazione sottoposti al regime del permesso di costruire, si possa optare anche per la presentazione della DIA o super DIA (oggi, ai tempi del d.lgs. 222/2106, SCIA alternativa al permesso di costruire) per ragioni di carattere acceleratorio. Tale facoltà di opzione esaurisce i propri effetti sul piano prettamente procedimentale, atteso che su quello sostanziale (dei presupposti), penale e contributivo resta ferma l’applicazione della disciplina dettata per il permesso di costruire.

Abuso edilizio: chi deve provare realizzazione e consistenza

Nel caso di specie, l’autorità amministrativa ha motivato la sanzione ripristinatoria (ingiunzione di demolizione) come se i manufatti contestati fossero stati realizzati ex novodalla ricorrente.

Si tratta dei seguenti interventi: 1) un “corpo di fabbrica al rustico su due livelli sfalsati tra di loro con muratura portante in pietre calcaree (superficie complessiva 200 mq) parzialmente occultato da rami e rete di plastica appositamente posizionati“; 2) una “pista in terra battuta di circa 70 mt che dalla strada pubblica conduce al fabbricato di cui sopra“.

A fondamento della impugnativa, la ricorrente deduceva che:

  • il fondo acquisito nel 2008 “già comprendeva tre manufatti al rudere e la stradina interpoderale per accedere agli stessi” e la preesistenza dei ruderi, risalenti agli anni cinquanta “è comprovata dall’atto di compravendita, dalla perizia estimativa eseguita in epoca antecedente l’acquisto e dalle relazioni tecniche oggi rese“;
  • i provvedimenti impugnati sono stati adottati sull’erroneo presupposto che le opere in contestazione siano state realizzate ex novo, mentre in realtà è stato posto in essere soltanto un intervento di restauro e risanamento conservativo di preesistenti manufatti;
  • nessuna delle opere in contestazione rientra tra gli interventi subordinati al preventivo rilascio del permesso di costruire: quanto alla “pista in terra battuta”, è stato posto in essere soltanto un intervento di decespugliamento, del tutto irrilevante dal punto di vista urbanistico; mentre per l’intervento realizzato sui preesistenti ruderi sarebbe stata sufficiente la presentazione di una d.i.a.; la comunicazione dell’avvio del procedimento è stata effettuata solo dopo che l’amministrazione aveva posto in essere, in assenza di contraddittorio, l’accertamento dello stato dei luoghi e non ha comunque consentito alla ricorrente stessa di tutelare la propria posizione.

Per il Tar Campania, che respinse il primo ricorso poiché:

  • la proprietaria non avrebbe dato prova della coincidenza delle dimensioni (volumi e superfici) e delle caratteristiche (sagoma e prospetto) del fabbricato in contestazione con quelle dei ruderi menzionati nell’atto di compravendita allegati al ricorso;
  • anzi da tale atto si evincerebbe che “la parte acquirente prende atto delle cattive condizioni di mantenimento e della carenza dei requisiti di agibilità ed abitabilità dei ruderi/comodi rurali ivi esistenti da almeno cinquanta anni, privi allo stato di valore commerciale (delle quali si è tenuto conto nella determinazione del prezzo di vendita)“;
  • a diverse conclusioni non potrebbe condurre la perizia tecnica giurata allegata al ricorso, specie perché tale perizia non opererebbero un puntuale raffronto tra le dimensioni e le caratteristiche del fabbricato in contestazione con quelle dei ruderi menzionati nell’atto di compravendita;
  • considerazioni analoghe a quelle appena svolte varrebbero per la realizzazione della “pista in terra battuta”, poiché la ricorrente non ha dato alcuna prova delle dimensioni e delle caratteristiche della preesistente “stradina interpoderale” di accesso ai ruderi, che non risulterebbe neppure menzionata nel suddetto atto di compravendita;
  • nessun rilievo assumerebbe la circostanza che la ricorrente abbia ricevuto la comunicazione dell’avvio del procedimento solo dopo che l’Amministrazione aveva posto in essere, in assenza di contraddittorio, l’accertamento dello stato dei luoghi, perché tale circostanza non avrebbe impedito alla ricorrente di partecipare al procedimento, ed in ogni caso dovrebbe troverebbe applicazione l’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990.

Per il Consiglio di Stato invece il ricorso è fondato: avendo quest’ultima allegato elementi concreti atti a provare la preesistenza dei manufatti in contestazione (da almeno 50 anni), ovverosia un atto notarile, una perizia tecnica costruttiva ed un’altra geologica, un contratto di fittanza agraria, l’aerofotogrammetria del 1956, l’amministrazione avrebbe dovuto svolgere adeguate indagini per verificare l’effettivo stato dei fabbricati rurali nella loro consistenza originaria, onde poter qualificare con cognizione di causa se l’intervento realizzato dall’appellante fosse qualificabile come ristrutturazione leggera o pesante (con tutte le relative implicazioni in punto di regime autorizzatorio e sanzionatorio).

L’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo spetta a colui che ha commesso l’abuso, poiché solo l’interessato  può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria. Tuttavia, la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi ‒ come è avvenuto nella specie ‒ trasferisce l’onere della prova contraria in capo all’amministrazione.

Nel caso in esame, è evidente che mentre il giudice si riferisce ad interventi di ristrutturazione edilizia, il Comune presupponeva la realizzazione di interventi di nuova costruzione. L’appello risulta quindi fondato e, per l’effetto, l’odine di demolizione e l’atto consequenziale di acquisizione gratuita vanno annullati.

Ultimo aggiornamento

5 Novembre 2018, 23:23