Sportello Unico per l'Edilizia

Gazebo con merce esposta fuori dal negozio: serve il permesso di costruire

Tar Roma: l’installazione di gazebo con finalità espositiva della merce comporta un'estensione della superficie commerciale e non risponde in alcun modo a finalità di mero arredo di spazi esterni

Data:
20 Luglio 2023

Serve il permesso di costruire per installare 5 gazebo dimostrativi dei prodotti realizzati dalla propria attività commerciale con finalità di vetrina espositiva esterna del negozio, in quanto si configura una ristrutturazione edilizia.

Installazione di gazebi e qualificazione urbanistica

Lo ha chiarito il Tar Roma nella sentenza 11418/2023 dello scorso 7 luglio, avente ad oggetto il ricorso contro l’ordinanza di demolizione, impartita dal comune capitolino, per alcuni interventi, qualificati di ristrutturazione edilizia, realizzati abusivamente in quanto senza permesso di costruire, consistenti nell’installazione nell’area antistante il locale commerciale di 5 gazebo di dimensioni variabili da 4 x 4 m. a 5 x 5 m., di varie fattezze e altezze.

Per i giudici amministrativi romani, correttamente gli interventi oggetto del gravato ordine di demolizione sono stati qualificati come di ristrutturazione edilizia, venendo in rilievo l’installazione di 5 gazebo di notevoli dimensioni su area antistante il locale commerciale, ed aventi quindi funzione e natura commerciali.

Il ricorrente ha invocato, in maniera errata i principi giurisprudenziali intervenuti con riferimento a gazebo e pergotende installate su immobili residenziali, potendo solo per questi ultimi predicarsi la finalità di arredo di spazi esterni volti alla migliore fruizione degli stessi.

Nella fattispecie in esame viene in rilievo l’installazione di gazebo che, con finalità espositiva della merce, comporta un’estensione della superficie commerciale, e non risponde in alcun modo a finalità di mero arredo di spazi esterni.

Cinque gazebo comportano un impatto significativo sul territorio

Tra l’altro, sottolinea il TAR, i 5 gazebo installati, con quelle dimensioni, implicano un significativo impatto sul territorio, con visibile alterazione dello stesso.

In definitiva, tali opere sono qualificabili come di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 comma 1, lett. d, dpr 380/2001, subordinati quindi, ai sensi dell’art. 10 del citato TUE, al regime del permesso di costruire o comunque della scia alternativa al permesso a costruire, la cui mancanza legittima l’adozione dell’ordine di demolizione.

Non si tratta di opere provvisorie: ecco perchè

Il TAR prosegue ricordando che, considerando che l’area in questione è gravata di vincoli che non ne permettono, in assenza del previo parere dell’autorità preposta al vincolo, trasformazioni permanenti, deve disattendersi la qualificazione delle opere come provvisorie, stante la loro permanente funzionalizzazione alle esigenze commerciali del negozio, in modo da dotarlo di vetrina esterna allestita con prodotti di vendita, per soddisfare, quindi, esigenze permanenti mediante collocazione di opere che, sebbene non infisse al suolo e quindi dotate del carattere di precarietà strutturale, non sono volte a soddisfare esigenze temporanee.

La qualificazione dell’opera precaria

Ai fini dell’identificazione del regime abilitativo edilizio, per la qualificazione di un’opera come precaria, ricorda il TAR, “ci si deve riferire non tanto e non solo alla consistenza strutturale e all’ancoraggio al suolo dei materiali di cui si compone, ma condurre l’esame in termini funzionali, accertando se si tratta di un’opera destinata a soddisfare bisogni duraturi, ancorché realizzata in modo da poter essere agevolmente rimossa. Le caratteristiche costruttive del manufatto, evidenziate da parte ricorrente, sono quindi inidonee a comprovarne il carattere precario, essendo destinato ad uso duraturo nel tempo, avente notevoli dimensioni ed impatto“.

La natura precaria di un manufatto deve cioè ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo o la temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, non dovendo l’opera precaria comportare una trasformazione irreversibile del territorio e l’accertamento della natura precaria dell’intervento deve essere effettuato secondo un criterio obiettivo: perché un’opera possa essere qualificata come precaria, deve trattarsi di un intervento oggettivamente finalizzato ad un uso temporaneo e limitato.

In definitiva, il concetto di precarietà va distinto da quello di amovibilità, non essendo quest’ultimo co-essenziale per l’individuazione della natura precaria dell’opera realizzata e ciò coerentemente con l’art. 3, lettera d, punto e.5 del TUE, che disciplina le strutture leggere, espungendo dalla nozione di ristrutturazione edilizia solo quelle opere che siano destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee.

Ultimo aggiornamento

20 Luglio 2023, 20:24