Sportello Unico per l'Edilizia

Decreto Salva Casa: l’approfondimento di ANCE sulle modifiche al Testo Unico Edilizia

In un interessante focus, l'Associazione spiega le norme e segnala eventuali punti di criticità da rivedere in fase di conversione in legge

Data:
4 Giugno 2024

All’indomani della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge 29 maggio 2024, n. 69, recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica”, cd. “Decreto Salva-Casa”, l’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) ha pubblicato un interessante approfondimento in materia, fornendo chiarimenti e spiegazioni sull’applicazione delle nuove disposizioni che modificano il d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).

Decreto Salva Casa: lo speciale di ANCE

Il focus analizza e commenta, articolo per articolo, tutte le novità introdotte nel Testo Unico Edilizia, volte alla semplificazione e alla risoluzione di alcune problematiche “operative” in ambito edilizio, legate sia ai procedimenti amministrativi che alla progettazione:

  • Attività edilizia libera (art. 1, comma 1, lett. A) – modifica art. 6 dpr 380/2001).
  • Stato legittimo (art. 1, comma 1, lett. B) – modifica art. 9-bis dpr 380/2001
  • Cambi di destinazione d’uso (art. 1, comma 1, lett. C) – modifica art. 23-ter dpr 380/2001)
  • tolleranze costruttive ed esecutive (art. 1, comma 1, lett. F) – modifica art. 34-bis dpr 380/2001)
  • Difformità parziali e nuovo accertamento di conformità in sanatoria (art.1, comma 1, lett. E), g), h), i) – modifica articoli 34, 36, 36-bis, 37 dpr 380/2001 e art. 3, comma 4)
  • Alienazione immobili abusivi (art. 1, comma 1, lett. D) – modifica art. 31 dpr 380/2001)
  • Destinazione di una parte dei proventi derivanti dalle sanzioni (art. 1 comma 2 decreto-legge)
  • strutture amovibili temporanee realizzate durante il periodo di emergenza da covid-19 (art. 2)

In premessa, ANCE sottolinea proprio come il Decreto punti a superare le attuali rigidità che caratterizzano la normativa e ad agevolare la commerciabilità degli immobili, soprattutto a destinazione residenziale, fino ad oggi resa difficile a causa della presenza di difformità minori rispetto allo stato legittimo dell’immobile, fondamentale al momento sia della compravendita, sia per l’esecuzione di interventi di riqualificazione e rigenerazione.

Ci sono comunque, secondo l’Associazione, aspetti che possono essere migliorati in sede di conversione.

Vediamo il commento ad ogni singola disposizione.

 

Attività edilizia libera

L’art. 1, comma 1, lett. a) modifica l’art. 6 del d.P.R. n. 380/2001) che disciplina le attività eseguibili in regime di edilizia libera (ossia senza alcun titolo edilizio) in particolare su:

  • installazione delle vetrate panoramica (VEPA) – (lettera b-bis);
  • installazione di opere per la protezione dal sole o da agenti atmosferici (nuova lettera b-ter)

Chiusura porticati con VEPA

Con la prima modifica si interviene ad ampliare la possibilità di installazione delle VEPA in regime di edilizia libera includendo la chiusura di porticati ossia “tutti gli elementi edilizi coperti al piano terreno degli edifici, intervallati da colonne o pilastri aperti su uno o più lati verso i fronti esterni dell’edificio”.

Si tratta di un’ulteriore semplificazione che interviene dopo la liberalizzazione di queste strutture finalizzata a chiarirne maggiormente l’ambito di applicazione in linea anche con l’obiettivo di migliorare le prestazioni acustiche ed energetiche degli edifici.

Naturalmente anche la chiusura di porticati con le VEPA è soggetta a tutte le condizioni riportate nell’art. 6, comma 1, lett. b-bis) del Dpr 380/2001 già previste per balconi e logge:

  • essere amovibili e totalmente trasparenti;
  • assolvere funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, di miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, di riduzione delle dispersioni termiche, di parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche;
  • non dare vita a spazi stabilmente chiusi con conseguente variazione di volumi e di superfici che possano generare nuova volumetria;
  • non comportare il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile anche da superficie accessoria a superficie utile;
  • favorire una naturale micro-aerazione dei vani interni domestici;
  • avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche.

Opere per la protezione dal sole o da agenti atmosferici

Sulle opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici quando la struttura principale è costituita da tende, ANCE spiega che non è chiaro se l’elenco riportato nella nuova lettera b-ter) sia un numero chiuso (da sole, da esterno, a pergola con telo retrattile anche impermeabile, a pergola con elementi di protezione solare mobili o regolabili) oppure no.

Inoltre le strutture sono ammesse in regime di edilizia a determinate condizioni:

  • devono essere addossate o annesse agli immobili o alle unità immobiliari anche con strutture fisse necessarie al sostegno e all’estensione dell’opera;
  • non possono determinare la creazione di uno spazio stabilmente chiuso con conseguente variazione di volumi e superfici;
  • devono avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente;
  • devono armonizzarsi alle preesistenti linee architettoniche.

Sul punto ANCE evidenzia che il Glossario dell’attività edilizia libera, allegato al DM 2 marzo 2018, già ricomprendeva l’installazione, la riparazione, la sostituzione e il rinnovamento di talune tipologie di tende (tenda, tenda a pergola, pergotenda, copertura leggera di arredo – cfr. Punto 50 del Glossario), ammettendo in edilizia libera anche la realizzazione di gazebo, di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo; pergolato di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo.

Stato legittimo

L’art. 1, comma 1, lett. b), modifica l’art. 9-bis del Testo Unico Edilizia. La norma è finalizzata a facilitare la dimostrazione dello stato legittimo di un immobile o parte di esso apportando modiche alla documentazione amministrativa che assume a tal riguardo valore probante.

Secondo le modifiche introdotte, lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare, può ora essere dimostrato

  • dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa o anche solamente dall’ultimo titolo edilizio relativo a lavori che abbiano interessato l’immobile o l’unità immobiliare, senza quindi la necessità di risalire ai titoli abilitativi precedenti, in considerazione della nota difficoltà di reperimento di titoli edilizi cosiddetti datati; in tale ipotesi viene inserita una precisazione ossia che il titolo sia stato rilasciato all’esito di un procedimentoche abbia verificato l’esistenza del titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o legittimato la stessa.

Questo inciso, sottolinea ANCE, serve a tutelare l’affidamento dell’interessato nei casi in cui il titolo edilizio “richiamato” – con il quale si intende attestare lo stato legittimo – è stato già oggetto di verifiche da parte della p.a. che ne abbia accertato la piena “legittimità” non rilevando difformità pregresse e non è quindi necessario procedere a nuove verifiche.

Quindi l’associazione ritiene, al momento, che ciò debba riferirsi indistintamente a titoli edilizi rilasciati a seguito di un procedimento “ordinario” come quello del permesso di costruire ma anche per CILA e SCIA che, com’è noto seguono un iter diverso. Tale inciso e comunque i suoi aspetti applicativi dovranno essere maggiormente chiariti in sede di conversione.

Lo stato legittimo può essere anche dimostrato:

  • dagli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali;
  • dai titoli rilasciati a seguito dei procedimenti per l’accertamento di conformità in sanatoria di cui agli articoli 36 e nuovo 36-bis (previo pagamento delle sanzioni/oblazioni);
  • dal pagamento della sanzione pecuniaria dovuta a seguito di annullamento del permesso di costruire (che, come indicato all’articolo 38 comma 2 produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria)
  • dal pagamento delle sanzioni previste per:
    • per gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità (articolo 33 del TUE);
    • per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (articolo 34 del TUE);
    • per gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità (articolo 37 del TUE);
    • la dichiarazione di cui all’articolo 34-bis concernente le tolleranze costruttive.

Quindi grazie alla modifica normativa sono, dunque, state ricomprese tra le modalità per certificare la regolarità edilizia e urbanistica, anche le diverse forme di fiscalizzazione dell’abuso edilizio che fino ad ora non consentivano, secondo la prevalente giurisprudenza, la piena regolarizzazione dell’immobile, oltre che le tolleranze.

Inoltre ANCE segnala che per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, sembrerebbe restare invariato quanto già previsto ossia che stato legittimo è:

  • quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto;
  • da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza,
  • dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.

Cambi di destinazione d’uso

L’art. 1, comma 1, lett. c)  modifica l’art. 23-ter del d.P.R n. 380/2001. Secondo ANCE, le nuove disposizioni rappresentano una semplificazione minore e comunque parziale, dovendo essere valutate attentamente con riferimento agli impatti rispetto alle singole normative regionali che nel testo vengono fatte salve “se più favorevoli” ma sembrerebbe con riferimento solo al tema del titolo edilizio (SCIA). Restano pertanto ferme le previsioni regionali che consentono questi mutamenti previa CILA ovvero che li considerano attività edilizia libera.

Sembrerebbe, invece, superato, almeno per le singole unità immobiliari ubicate nelle zone A, B e C, quanto previsto dalla Tabella allegata al d.lgs. 222/2016 (Sezione II Edilizia, Punto 39) che, suscitando molti dubbi, assoggetta a permesso di costruire i mutamenti d’uso “verticali” realizzati anche senza opere.

In ogni caso, spiega l’Associazione, sarebbe stato opportuno un intervento più ampio e comprensivo anche di agevolazioni specifiche per i cambi d’uso anche con opere, fondamentali per far partire i processi di rigenerazione urbana, che si auspica possa essere oggetto di ripensamento in sede di conversione del decreto-legge.

Da un punto di vista tecnico la definizione di singola unità immobiliare riportata nella Relazione illustrativa appare mutuata dalla materia fiscale più che dall’edilizia e cioè “l’elemento minimo inventariabile che ha autonomia reddituale e funzionale, esistente su una particella nell’ambito del Catasto dei Fabbricati, ferma restando l’ipotesi di fabbricati costituiti da un’unica unità immobiliare”.

Inoltre, occorre comprendere:

  • cosa si intende per “senza opere” e cioè se sono consentiti interventi che ricadono nella manutenzione ordinaria o comunque interventi da eseguire in edilizia libera nonché interventi finalizzati all’eliminazione delle barriere architettoniche o di adeguamento igienico- sanitario. Questo perché sia nei cambi “orizzontali” che in quelli “verticali” è spesso necessaria la realizzazione di opere, con il rischio di vanificare l’intento di agevolare il recupero degli edifici e destinarli ad usi più coerenti con i bisogni sociali ed economici di un territorio;
  • il riferimento alla possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni e in particolare se esso riguarda le condizioni già vigenti ovvero eventuali altre che in futuro potranno essere approvate dai Comuni;
  • sui cambi d’uso “verticali”, come sia possibile stabilire se la nuova forma di utilizzo dell’unità immobiliare è conforme a quella prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nell’immobile. Sul punto ANCE evidenza come nel 2020 sia stato eliminato dall’art. 23-ter comma 2 il riferimento al criterio della superficie utile per stabilire la destinazione d’uso prevalente di un immobile o di una unità immobiliare. Oggi l’art. 23-ter, comma 2 rinvia per questa necessità alla documentazione di cui all’art. 9-bis, comma 1-bis e cioè a quella che deve essere utilizzata per dimostrare lo stato legittimo degli edifici, fra cui prima di tutto i titoli abilitativi che hanno interessato l’immobile.

Tolleranze costruttive ed esecutive

L’art. 1, comma 1, lett. f) modifica l’art. 34-bis, introducendo in primis il comma 1-bis dell’34 bis che prevede, per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, una riparametrazione dell’attuale tolleranza costruttiva in funzione della superficie utile dell’unità immobiliare.

Qualora tali tolleranze costruttive siano realizzate su immobili soggetti a vincolo paesaggistico l’art. 3, comma 1, del decreto-legge in esame prevede l’esclusione dell’autorizzazione paesaggistica. Tale previsione nasce dall’esigenza, come evidenziata dalla relazione illustrativa, di allineare il regime delle tolleranze costruttive previsto dall’art. 34 bis Dpr 380/2001 a quello previsto Dpr 31/2017 (Allegato A., punto A. 31) che già include tra gli interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica “le opere ed interventi edilizi eseguiti in variante a progetti autorizzati ai fini paesaggistici che non eccedano il due per cento delle misure progettuali quanto ad altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta o traslazioni dell’area di sedime”.

Al riguardo, proprio in virtù dell’obiettivo di coordinamento normativo che la norma persegue, ANCE esprime perplessità sulla circostanza che tale coordinamento sia previsto solo con riferimento alle tolleranze costruttive ante 24 maggio 2024, senza prendere in considerazione anche quelle realizzate successivamente a tale data e quanto previsto a regime.

La norma poi non specifica nulla in riferimento all’eventualità in cui gli scostamenti rientranti nelle tolleranze previste determinino il superamento dei parametri previsti sia dal DM 2 aprile 1968, n. 1444/1968”, sia dal DM 5 luglio 1975.

Tolleranze di cantiere

Inoltre, sempre per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, il Decreto introduce il nuovo comma 2-bis dell’art. 34 bis, che disciplina alcune casistiche rientranti nelle tolleranze esecutive (c.d. geometriche o di cantiere).

In particolare, sono considerate tolleranze:

  • il minore dimensionamento dell’edificio
  • la mancata realizzazione di elementi architettonici non strutturali;
  • le irregolarità esecutive di muri esterni ed interni;
  • la difforme ubicazione delle aperture interne;
  • la difforme esecuzione di opere rientranti nella nozione di manutenzione ordinaria;
  • gli errori progettuali corretti in cantiere;
  • gli errori materiali di rappresentazione progettuale delle opere.

Si evidenzia che alcune di tali casistiche sono già previste a regime da alcune realtà regionali, tra cui l’Emilia-Romagna (Lr 23/2004 e Circolare n. 410371 del 05/06/2018), il Piemonte (Lr 19/1999) e l’Umbria (Lr 1/2015).

Per questo motivo, ANCE ritiene limitativo che queste previsioni siano state delimitate temporalmente ai soli interventi posti in essere in data antecedente al 24 maggio 2024.

Inoltre non risulta risolto il problema se tali tolleranze possano comunque superare eventuali diverse prescrizioni previste a livello locale (es. regolamenti edilizi o specifiche indicazioni previste nell’ambito di altri provvedimenti locali).

Tolleranze in zone sismiche

Infine, il testo del Decreto inserisce nell’articolo 34-bis il comma 3-bis che descrive i requisiti e le procedure per attestare la conformità degli interventi edilizi in zone sismiche, in presenza, appunto, delle tolleranze costruttive introdotte.

Secondo ANCE, L’attuale formulazione del comma 3-bis non fornisce chiarezza in merito all’attestazione del rispetto delle Norme Tecniche delle Costruzioni, richiamate nella sezione I del Capo IV della Parte II del Testo Unico Edilizia, da parte degli interventi interessati da tolleranze costruttive. Infatti, non è specificato se le Norme Tecniche, cui il tecnico deve riferirsi nell’attestazione, debbano essere quelle vigenti al momento della realizzazione dell’intervento – come sarebbe logico – oppure quelle vigenti oggi, al momento della presentazione dell’istanza.

Sarebbe quindi opportuno che il testo facesse esplicito riferimento alle norme tecniche vigenti all’epoca dell’intervento, in maniera del tutto analoga al successivo articolo 36-bis relativo alle ipotesi di parziale difformità (dove si stabilisce che, per la conformità edilizia, “la dichiarazione è resa con riferimento alle norme tecniche vigenti al momento della realizzazione dell’intervento”). I

Infine la formulazione della norma, in base alla quale:

  • l’applicazione della disciplina delle tolleranze non può comportare limitazioni dei diritti dei terzi;
  • tali limitazioni dovranno essere verificate dal tecnico abilitato il quale dovrà eventualmente indicare le attività necessarie per eliminarle o presentare, se necessari, i relativi titoli edilizi
  • la formazione di tali titoli e la concreta esecuzione dei relativi interventi è condizione necessaria per la redazione da parte del tecnico abilitato della dichiarazione, prevista dal comma 3, necessaria ai fini dell’attestazione dello stato legittimo, applicandosi a tutte le caistiche di tolleranze previste dall’art. 34 bis Dpr 380/2001,

potrà implicare un aggravio sia a carico del privato sia del tecnico abilitato.

Difformità parziali e nuovo accertamento di conformità in sanatoria

L’art.1, comma 1, lett. e), g), h), i) – modifica gli articoli 34, 36, 36-bis, 37 del Testo Unico Edilizia, riscrivendo l’accertamento di conformità in sanatoria ossia l’istituto che regola i casi, le condizioni e il procedimento per ottenere la sanatoria “in via ordinaria” delle opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo edilizio ma previste e quindi consentite dalla strumentazione urbanistica e edilizia comunale.

In particolare, vengono individuate due tipologie di accertamento di conformità in sanatoria, differenziando:

  • gli interventi eseguiti in assenza, totale difformità o in variazione essenziale dal permesso di costruire o dalla Scia alternativa al permesso di costruire di cui all’art. 23 Dpr 380/2001, per i quali, in quanto fattispecie di maggiore gravità, continua a permanere l’attuale regime della doppia conformità urbanistica ed edilizia (previsioni di piano e normativa tecnica), ossia della necessità di rispettare la normativa prevista sia all’epoca della realizzazione sia al momento della presentazione della domanda (art. 36);
  • gli interventi in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla Scia alternativa al permesso di costruire nonché quelli realizzati in assenza o in difformità dalla Scia “semplice” di cui all’art. 22 Dpr 380/2001, per i quali vi è il superamento della doppia conformità: si prevede che è sufficiente provare la conformità urbanistica ad oggi (al momento della presentazione della domanda) e la conformità edilizia (normativa tecnica) all’epoca della realizzazione (nuovo art. 36-bis).

L’epoca di realizzazione dell’intervento è provata mediante la documentazione indicata dell’art. 9-bis, comma 1-bis, secondo e terzo periodo del Dpr 380/2001 ai fini dello stato legittimo ovvero, qualora non sia possibile accertarla, mediante dichiarazione del tecnico interessato.

Inoltre l’art. 3, comma 4 del Decreto-legge specifica espressamente che la presentazione della domanda di permesso di costruire o della Scia ai sensi del nuovo articolo 36-bis non dà diritto alla restituzione di somme versate a titolo di oblazione o per il pagamento di sanzioni già irrogate dal comune o da altra amministrazione sulla base della normativa vigente alla data di entrata in vigore del decreto. Sotto questo profilo si evidenzia che la norma è valutare attentamente sotto il profilo della diversità delle casistiche e della sua legittimità.

Nei casi di difformità parziali si introduce la cd. sanatoria condizionata (non consentita dalla giurisprudenza) in base alla quale il Comune può subordinare il rilascio del permesso/SCIA in sanatoria all’esecuzione di interventi per rendere l’opera conforme alla normativa tecnica, edilizia, igienico sanitaria, nonché alla rimozione delle opere che non possono essere sanate. Nonostante sia richiesta la conformità edilizia all’epoca della realizzazione dell’opera bisognerà capire, spiega ANCE, come queste condizioni vadano di fatto a richiedere anche per la disciplina edilizia la relativa conformità alla normativa vigente alla domanda di presentazione.

Il rilascio del permesso in sanatoria è sempre subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile in seguito agli interventi (importi compresi fra 1.032 e 30.984 €) e si prevede che una parte di queste entrate (in particolare 1/3 di esse) siano destinate obbligatoriamente alla demolizione delle opere abusive (fatta salva la ripetizione delle spese nei confronti del responsabile), agli interventi di rigenerazione urbana e aree degradate, ecc. (art. 1, comma 2 del Decreto-legge – con riferimento alla destinazione dei proventi vedi anche quanto previsto in merito all’applicazione dell’articolo 31, comma 5, ultimo periodo del Dpr 380/2001 come modificato dal presente Decreto Legge).

Sul punto, l’Associazione evidenzia che non esiste una definizione normativa di parziale difformità. La stessa si ricava dalla giurisprudenza in rapporto a ciò che non è totale difformità e non è variazione essenziale e cioè si è in presenza di difformità parziale solo quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera.

Sanatoria su immobili soggetti a vincolo paesaggistico

Vi è infine una norma per gli immobili soggetti a vincolo paesaggistico che possono essere sanati previo rilascio del parere favorevole dell’autorità competente e pagamento di una sanzione pari al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito attraverso la trasgressione.

Sul punto, per ANCE non è stato chiarito il rapporto con l’articolo 167 del Dlgs 42/2004 che non consente l’accertamento di compatibilità paesaggistica se non in limitati casi minori nei quali non vi deve essere stato incremento di volume o superficie esistente.

Inoltre l’Associazione segnala, con riferimento agli immobili vincolati sotto il profilo paesaggistico, la divergenza con l’art. 32, comma 3 del Dpr 380/2001 in base al quale gli interventi realizzati con variazioni essenziali su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali. Quest’ultima norma contrasta evidentemente con la possibilità degli immobili vincolati di avere parziali difformità ed essere assoggettati alla nuova procedura di sanatoria dell’art. 36-bis. Tali aspetti dovranno essere chiariti in sede di conversione.

Quanto alla chiusura del procedimento, si prevede che, fatta salva nei casi di immobili soggetti a vincolo paesaggistico la sospensione del termine fino alla definizione della compatibilità paesaggistica, lo Sportello Unico provvede sulla domanda di sanatoria entro 45 gg, decorsi inutilmente i quali essa si intende accolta. Si è in presenza, dunque, di una importante innovazione rispetto a quanto tuttora previsto dall’art. 36 sull’accertamento di conformità in sanatoria delle fattispecie abusive più gravi, per le quali permane una forma di silenzio rigetto decorsi 60 gg dalla presentazione della domanda.

Fiscalizzazione degli abusi e sanatoria

Quanto all’art. 37 (interventi eseguiti in assenza o in difformità della SCIA) esso viene modificato estendendo anche in questi casi il regime nuovo in merito all’eliminazione della “doppia conformità” con in questo caso lasciando invariata la sanzione pecuniaria prevista dalla normativa vigente (doppio aumento del valore venale e comunque in misura non inferiore a 516 euro).

Infine, viene modificato l’art. 34 in tema di interventi edilizi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla Scia alternativa al PdC, prevedendo un incremento delle sanzioni pecuniarie previste dal doppio al triplo del costo di produzione, in caso di immobili a destinazione residenziale e dal doppio al triplo del valore venale delle opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.

Alienazione immobili abusivi

L’art. 1, comma 1, lett. d) modifica l’art. 31, comma 5, del Testo Unico Edilizia prevedendo, in riferimento all’opera abusiva – ossia realizzata in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali – una procedura diversa da quella vigente.

In particolare, si prevede che qualora non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, il Comune, previo parere delle amministrazioni competenti, può procedere all’alienazione del bene e della relativa area di sedime condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione da parte dell’acquirente delle opere abusive.

Al riguardo viene specificato che:

  • è preclusa la partecipazione del responsabile dell’abuso alla procedura di alienazione;
  • il valore venale dell’immobile è determinato dall’agenzia del territorio tenendo conto dei costi per la rimozione delle opere abusive.

L’art. 1, comma 2, del Decreto obbliga inoltre i Comuni a destinare una quota pari ad un terzo delle entrate derivanti dall’alienazione di cui sopra:

  • per la demolizione delle opere abusive presenti sul territorio comunale, fatta salva, in questo caso la ripetizione delle spese nei confronti del responsabile;
  • per la realizzazione di opere e di interventi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree urbane degradate, di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione e per iniziative economiche, sociali, culturali o di recupero ambientale.

Strutture amovibili temporanee realizzate durante il periodo di emergenza da Covid-19

Infine, ANCE segnala  l’art. 2 del Decreto, sulle strutture amovibili realizzate in periodo Covid.

Non si tratta di una modifica o integrazione del TUE, ma è finalizzata a rendere possibile il mantenimento delle strutture amovibili realizzate durante lo stato di emergenza nazionale dichiarato a seguito del diffondersi dell’epidemia da Covid-19.

Le condizioni necessarie per poter mantenere le predette strutture, anche in deroga al limite temporale dei 180 giorni previsto dall’articolo 6 comma 1 lettera e-bis, sono:

  • rispetto delle prescrizioni urbanistiche comunali e delle normative di settore;
  • utilizzo solo per finalità: sanitarie, assistenziali, educative (non sono dunque compresi i dehors realizzati da bar e ristoranti)
  • dimostrazione comprovata della perdurante necessità di utilizzo.

Occorre presentare una CILA dove vengano indicate le comprovate e obiettive esigenze di mantenimento e l’epoca di realizzazione della struttura. Il Comune può richiedere la rimozione delle strutture non conformi con provvedimento motivato. L’applicazione delle disposizioni non deve limitare i diritti dei terzi.

Ultimo aggiornamento

4 Giugno 2024, 05:01