Cambio destinazione d’uso senza opere da abitazione a studio: è ristrutturazione edilizia!
Tar Lazio: il cambio di destinazione d’uso da abitazione a studio, anche senza opere, rientra in ristrutturazione edilizia con il pagamento del contributo di costruzione
Data:
30 Giugno 2023
Il Tar Lazio con la sentenza n. 10392/2023 torna su un argomento molto sensibile nel panorama dell’esercizio delle professioni e cioè quello della possibilità di adibire un immobile residenziale a studio, sede della propria attività lavorativa. Tale operazione non va sottovalutata, poiché costituisce un passaggio impattante sul carico urbanistico e quindi necessitante del titolo edilizio più appropriato che in questo caso è il permesso di costruire.
Il cambio di destinazione d’uso da abitazione a studio: il caso
Il caso proposto ha come protagonista l’acquirente di un appartamento ad uso abitativo che il precedente proprietario aveva già destinato ad uso studio, modificando la divisione interna senza richiedere alcun permesso.
L’acquirente aveva deciso di continuare ad utilizzare l’abitazione come studio, senza effettuare opere allo scopo, né modificare in alcun modo la superficie, la volumetria e le caratteristiche dell’appartamento, per cui successivamente aveva fatto domanda di condono edilizio (legge n. 326/2003) con il relativo versamento dell’oblazione nella misura forfettaria prevista per la tipologia di abuso n. 6 rubricata sotto la voce “opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superfici e di volume“.
All’indomani del ritiro della concessione in sanatoria, il Comune ne subordinava la consegna, tra l’altro, al pagamento degli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione.
Il privato si opponeva:
- egli lamentava l’illegittimità della quantificazione, poiché effettuata con il metodo di calcolo previsto per le ristrutturazioni edilizie abusive piuttosto che con il metodo di calcolo più favorevole previsto per le opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume;
- a suo parere il cambio di destinazione d’uso da residenziale a professionale non avrebbe integrato una forma di ristrutturazione edilizia, ove realizzato come nel caso in esame in assenza di nuove opere(e senza alcuna variazione di superficie o volume).
La questione veniva portata in ricorso presso il Tar.
Il cambio d’uso da residenziale a ufficio, anche senza opere, è ristrutturazione edilizia pesante
I giudici, in riferimento alle modifiche eseguite dal precedente proprietario venditore (senza permessi), specificano che le opere murarie consistenti nella redistribuzione degli spazi interni (con cambio di destinazione d’uso da residenziale a professionale) non possono che essere ricondotte alla tipologia di abuso (n. 3) e cioè agli interventi di ristrutturazione edilizia (di cui all’art. 3, comma 1, lettera d, del dpr 380 del 2001), non potendo qualificarsi né come nuove costruzioni, né come attività di manutenzione straordinaria, né tanto meno come attività di restauro o risanamento conservativo.
Essi chiariscono in merito che la consolidata giurisprudenza amministrativa inquadra il cambio di destinazione d’uso da abitazione ad ufficio, anche se eseguito senza opere, all’obbligo di richiesta del permesso di costruire, e ciò al pari della ristrutturazione edilizia c.d. “pesante”.
Pertanto, se il cambio di destinazione d’uso da abitazione ad ufficio è senz’altro soggetto al permesso di costruire (con conseguente necessità di applicare gli oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione), va da sé che il provvedimento con cui tale cambio di destinazione viene condonato deve applicare i suddetti oneri concessori.
Il ricorso non è, quindi, accolto.
Ultimo aggiornamento
30 Giugno 2023, 18:06